domenica 20 giugno 2004

Antiche tradizioni quasi estinte [...per fortuna ]


Questo é un articolo di Michele Serra apparso su di un numero del giornale di SlowFood alcuni anni addietro. É un po' lunghino ma vi consiglio vivamente di leggerlo, ne vale la pena. Lo riporto perchè domani é il giorno del solstizio e giovedì é San Giovanni, quindi sbrigatevi prima che finiscano le noci!


Le noci devono essere raccolte il giorno di San Giovanni, il 24 giugno. Secondo altri, il giorno del solstizio d'estate, 21 di giugno. Secondo altri ancora, il giorno giusto è quando vedi qualcun altro che va a raccoglierle e temi di restare senza.
La maggioranza delle persone le raccoglie comunque a metà luglio, quando si rende conto di avere trascurato la fatidica scadenza di San Giovanni. È allora che si seguirà alla solenne esclamazione dei padri "Cazzo! Anche quest'anno ci siamo dimenticati" il rito della raccolta. Si dirà allora, aprendo una noce e constatando che oramai è torrefatta dal solleone ed interamente divorata dai vermi, che comunque "la stagione quest'anno è in ritardo", ed un mese dopo non fa differenza. Allo stesso modo, terrorizzati dall?idea di dimenticare la scadenza di San Giovanni, alcuni pensionati fanno incetti di noci già ad aprile, sostenendo che "la stagione è in anticipo" ed un mese prima non fa differenza, e raccogliendo rudimentali germogli che stanno ad una noce come uno spermatozoo sta ad un bambino di sei mesi.
La raccolta si deve fare in due: uno si aggrappa con tutto il suo peso ai rami più bassi così da porgere la fronda al partner. Questo, si noti bene, avviene anche se il ramo è già a mezzo metro d'altezza, perché l'importante, in questi riti agresti, è significare in ogni modo la nobiltà della fatica fisica. Mentre il raccoglitore comincia la raccolta, il piegatore si rende conto che la torsione spasmodica che sta imprimendo ad un ramo generalmente di mezzo metro di diametro è soverchiante per le sue forze. Così molla di colpo la presa, e il ramo colpisce il raccoglitore prima sulle mani, facendogli cadere così tra le ortiche le tre noci fin li raccolte, e poi in pieno viso vivificandone l'umore. Allora il raccoglitore propone al piegatore di invertire i ruoli, in modo che tocchi a lui, questa volta, mollare il ramo sulla faccia dell'altro.
Non a caso, secondo gli storici dell'alimentazione, nelle zone dove si raccolgono le noci le popolazioni sono si denutrite, ma possono vantare una socialità a prova di bomba: due persone che tornano dalla raccolta delle noci senza avere tentato di sopprimersi a vicenda, sono pronte ad affrontare ogni genere di conflitto sociale con sperimentata saggezza.
Ma torniamo al nostro nocino. Si constata, a questo punto, che in due ore di bestemmie e ferite lacerocontuse si è riusciti a riporre nel paniere solo una ventina di noci rachitiche e fittamente bacate. La loro scarsa altezza dal suolo le ha esposte, infatti, al morso e all'ingiuria di quasi tutte le bestie censite sul territorio nazionale, dal ghiro al tasso al pensionato al ciclista, nonché all'urina di cani, volpi e gatti che segnano il territorio, di preferenza, pisciando sui rami più bassi.
Raccoglitore e piegatore si propongono, allora, di salire insieme sui rami superiori, dove le noci sono abbondanti e più riparate. L'odierna vicinanza delle astanterie, un tempo raggiungibili solo in molte ore di cammino, li rassicura molto. In particolare in Emilia, terra molto avanzata in fatto di servizi sociali, il periodo in cui i pensionati raccolgono le noci è segnalato da un continuo sorvolo d'eliambulanze. Ma facciamola breve.
Mettiamo che i nostri due raccoglitori siano riusciti, rimanendo illesi, a riporre nel paniere le sessanta noci necessarie per cinque litri di nocino ed a fare ritorno a casa senza ricorrere al pubblico soccorso. Si tratta, a questo punto, di tagliare questi durissimi frutti in due metà ciascuna, così da farle entrare nella damigiana. Il collo della damigiana deve essere stato studiato, secoli fa, in modo da far passare di tutto, dal quarto di tacchino all'ananas intero, tranne le mezze noci. Le mezze noci, infatti, non passano. Si procede allora a tagliare le noci in quarti, che finalmente passano e vanno, con un tonfo sinistro, ad immergersi nell'alcol, nell'acqua, nello zucchero, nella cannella e nella scorza di limone che abbiamo precedentemente preparato. Si alzano allora le mani al cielo in segno di ringraziamento, e ci si rende conto che sono completamente, paurosamente nere. Come le noci fresche, che sono verdi, riescano a tingere le mani di un nero definitivo e persistente, è uno dei più affascinanti misteri della natura.
Parentesi. I due preparatori di nocino non sono arrivati a questo momento se non dopo avere lungamente discusso sulla ricetta giusta. Si contano, nella sola Emilia, circa settecentomila confezionatori di nocino casalingo e dunque settecentomila differenti ricette giuste. Con o senza cannella, con o senza noce moscata, con tanta acqua o poca, con la mentuccia, con l'erba limoncina, senza nessuna di questa cose ed in qualche caso, che lo studioso dell'alimentazione Piero Camporesi fa risalire alla piaga del cretinismo tipica di certe valli, anche senza le noci. Si rivendica ognuno la conclamata superiorità della ricetta della propria nonna, si deride chi antepone all'esperienza popolare la fantomatica ricetta dell'Artusi, si aggiunge che l'Artusi l'aveva comunque imparata dalla propria nonna, si finisce, e non è bello, col litigare tirando in ballo anche le nonne altrui e la loro moralità. Alla fine, fortunatamente, vince un solidale spirito di compromesso: "E va bene, facciamo come diceva quella gran troia della tua nonna".
Immerse le noci, con una fatica superiore a quella impiegata per calare il Cristo degli abissi, dentro la damigiana insieme agli altri ingredienti della nonna, tutto parrebbe finito. Invece no. Una feroce faida divide da secoli i sostenitori della maturazione al buio ed i sostenitori della maturazione del nocino al sole. La damigiana viene così spostata per quaranta giorni, a seconda di chi si trova da solo in casa e possa operare di nascosto, al buio ed al sole, alternativamente.
Al quarantesimo giorno, il nocino è pronto. In genere è una specie d'intruglio infiammabile dal sapore di sciroppo al tannino, nerastro come i liquami della pulitura di un camino. Di tutti gli ingredienti, spentisi mestamente nella damigiana come pazienti dimenticati in una camera iperbarica, il solo che esce vittorioso è l'alcol. La gradazione di un nocino medio, per motivi che sfuggono agli studiosi di tutto il mondo, è superiore a quella dell'alcol puro. Spesso, infatti, si deve aggiungere alcol puro al nocino per diminuire la gradazione alcolica.
Lo si beve, comunque, con soddisfazione ed orgoglio pari alla fatica spesa per confezionarlo. È stato calcolato questo: tenendo conto del prezzo esorbitante dell'alcol da liquore, delle damigiane, dei tappi, degli imbuti, dello zucchero, delle scorze di limone ovviamente biodinamico, della cannella, della noce moscata, della pasta abrasiva da meccanico per pulire le mani, degli stracci per pulire per terra e del Baygon impiegato per tenere lontane le colonie di formiche che arrivano anche da altre province attirate dai miasmi dolciastri; e considerato che il valore medio di un'ora di lavoro non specializzato è di venticinquemila lire; ogni litro di nocino fatto in casa costa sulle duecentoquarantamila lire. Un buon nocino artigianale, invecchiato cinque anni, costa nel più esoso dei negozi intorno alle quindicimila lire. Ma non osate dirlo ad un nocinista fai-da-te: è come dirgli che sua nonna è una troia.











3 commenti:

  1. Ehm... un po' lunghetto, mi sono stufata a metà... ;P

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  2. Vergogna! :-P Si vede che da "cittadina" con capisci lo spirito di certe cose :-D

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  3. accidenti.. ormai è troppo tardi!!! niente noci :(

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